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Il primo amore
Chi fu il primo amore di Giacomo Leopardi? Ebbe una fidanzata? Queste e altre domande si fanno spesso sulla vita del grande poeta di Recanati. Conosciamo la donna alla quale andarono le sue prime attenzioni…
11 Dicembre 1817: Recanati si avvolge nel suo consueto torpore invernale. Le viuzze della piccola città marchigiana giacciono immobili sotto un cielo plumbeo, mentre una carrozza avanza con eleganza discreta verso il palazzo dei conti Leopardi.
All'interno della dimora austera, il giovane Giacomo, diciannove anni appena compiuti e l'anima già gravida di versi mai pronunciati, scruta dalla finestra della sua biblioteca. Tra le mani stringe un libro di poesie di classici greci, ma i suoi occhi cercano vita nel mondo esterno. Ed ecco che la vede scendere: Gertrude. Cugina di suo padre, ventiseienne, avvolta in un mantello scuro che ne esalta il portamento signorile. Qualcosa nell'aria trema. Il poeta, che fino ad allora ha amato solo l'infinito dei suoi pensieri, sente per la prima volta il battito sordo di un cuore che scopre l'abisso del desiderio umano.
Mi sono permessa di romanzare un po’ l’arrivo della donna che per prima riceverà le attenzioni di Giacomo Leopardi. Ma torniamo al giovane poeta…
A diciannove anni, Giacomo Leopardi ha trascorso la gioventù praticamente confinato in casa, sempre dedito ai suoi studi, spesso in compagnia dei fratelli e del prete che gli fa da precettore, sorvegliato dal padre Monaldo perché non abbia distrazioni o non frequenti persone giudicate inadatte a lui.
Grande è il suo desiderio di incontrare giovani donne e di intrattenersi con loro, ma non si sono presentate occasioni, salvo qualche fugace scambio di parole e sguardi con Teresa Fattorini, la figlia del cocchiere di casa Leopardi, ricordata poi nella celebre poesia A Silvia, oppure con Nerina, la cui identità non è nemmeno sicura.
Nel mese di dicembre 1817 però in casa Leopardi arriva una notizia: Gertrude Cassi Lazzari, ventiseienne nobildonna pesarese cugina di Monaldo, viene in visita a Recanati e si tratterrà per qualche giorno, in occasione delle feste di Natale. Ci racconta Leopardi che
"arrivò in casa nostra, aspettata con piacere da me, né conosciuta mai, ma creduta capace di dare qualche sfogo al mio antico desiderio, una signora pesarese nostra parente piuttosto lontana, di ventisei anni, col marito di oltre a cinquanta" .
Gertrude quindi è sposata: non è una possibile fidanzata per Giacomo. Però è comunque una distrazione dalla monotonia della sua vita e gli offre l’occasione di parlare con una donna. Giacomo si trova davanti una bella ragazza "alta e membruta, lineamenti tra il forte e il delicato, occhi nerissimi, capelli castagni, maniere benigne" come annota nel Diario del primo amore, una serie di ricordi molto precisi sulle sensazioni che il giovane prova in questa nuova esperienza.
Mentre soggiorna nel palazzo dei Leopardi, Gertrude si intrattiene con i ragazzi giocando a scacchi e conversando, da donna intelligente e curiosa qual è. Giacomo ne è affascinato. Dopo aver desiderato da più di un anno parlare e conversare, come tutti fanno, con donne avvenenti, ha finalmente l’occasione di interrompere questo digiuno imposto dalla solitudine.
Gertrude arriva di giovedì sera. Il venerdì, durante il giorno, Giacomo la guarda ma in modo distaccato, per il gusto di osservare un volto bello; poi la sera, i fratelli giocano a carte con la signora. Giacomo li invidia molto, vorrebbe unirsi al gruppetto ma è costretto a giocare a scacchi con un’altra persona. A quel punto ci si mette d’impegno: vuole vincere per attirare l’attenzione della bella dama, che aveva affermato di amare gli scacchi pur non sapendo giocare. Lo stratagemma sembra funzionare: finito con le carte, Gertrude chiede a Giacomo di insegnarle gli scacchi, dei quali impara in fretta le regole. Giacomo così apprende che la signora si fermerà anche il giorno dopo. Puntuale, il giorno dopo gioca di nuovo agli scacchi con lei, finché non viene richiamato dalla madre Adelaide. Interrompe questa esperienza con dispiacere, perché finalmente “io, per la prima volta avea fatto ridere con le mie burlette una dama di bello aspetto, e parlatole, e ottenutone per me molte parole e sorrisi”.
Che tenerezza fa questo impacciato diciannovenne, mentre si rallegra che le sue battute facciano effetto e gli facciano arrivare dolci parole e sorrisi!
Della cena che segue dice “i discorsi della Signora mi piacquero assai, e mi ammollirono sempre più; e insomma la Signora mi premeva molto”. Nonostante questi momenti piacevoli, Giacomo nelle ore successive si sente inquieto e non capisce perché.
"Mi posi in letto considerando i sentimenti del mio cuore, che in sostanza erano inquietudine indistinta, scontento, malinconia, qualche dolcezza, molto affetto, e desiderio non sapeva né so di che, né anche fra le cose possibili vedo niente che mi possa appagare".
Seguono pagine di acuta analisi delle proprie sensazioni e dei movimenti del proprio cuore. A poco più di diciannove anni era capace di scandagliare l’animo umano come pochi. Sogni agitati, notti insonni, inappetenza, distrazione, incapacità di studiare…il nostro poeta attraversa tutto il ventaglio di esperienze che ogni adolescente ha provato quando si è innamorato la prima volta.
"Se questo è amore, che io non so, questa è la prima volta che io lo provo in età da farci sopra qualche considerazione; ed eccomi di diciannove anni e mezzo, innamorato".
La Cassi si trattenne due giorni e tre notti in casa Leopardi: arrivata la sera del giovedì, ne ripartì la domenica mattina 14 dicembre di buon’ora, mentre Giacomo e gli altri fratelli erano ancora a letto. Giacomo quella notte rimase sveglio a lungo e addormentatosi sognò sempre, come in preda alla febbre, le carte, il gioco, la signora. Svegliatosi prima che facesse giorno, sentì passare i cavalli, poi arrivar la carrozza, poi andar gente su e giù.... si accorse che gli ospiti si preparavano a partire, ed aspettò un buon pezzo coll’orecchio teso, credendo che da un momento all'altro scendesse la signora, per sentirne la voce l’ultima volta; e la sentì. Né gli dispiacque la partenza, perché prevedeva che avrebbe dovuto passare una triste giornata, se i forestieri si fossero trattenuti.
Il Diario inizia il 14 dicembre, appena partita Gertrude, e finisce il 23 dicembre 1817. Si chiude con un’annotazione del 2 gennaio 1818 dove Giacomo dice che nessuno sa della sua passione, che ha confidato solo al fratello Carlo, e che gli durano ancora nell’animo “le vestigia evidentissime degli affetti passati”.
Ecco qua il primo amore di Giacomo Leopardi.
Certo, non è stato l’inizio di una relazione. Gertrude, che sciocca non era, si sarà certo resa conto del fascino che esercitava sul giovane parente. Ma era sposata e chissà se, anche essendo libera, avrebbe mai preso in considerazione Giacomo. Sposarsi tra parenti era comunque pratica consueta all’epoca, specialmente tra le famiglie nobili che evitavano così di disperdere il patrimonio e restavano all'interno di conoscenze consolidate, con pochi rischi. Anche Monaldo e Adelaide, i genitori di Giacomo, erano consanguinei. Alcuni biografi hanno attribuito a questo fatto le morti precoci dei tanti figli dalla salute malferma che misero al mondo…
Nessuna relazione, dicevamo. Ma di certo per Giacomo la conoscenza di Gertrude fu una rivelazione, e gli fece compiere i primi passi nel terreno incerto dell’amore.
"E veggo bene che l'amore dev’esser cosa amarissima,
e che io purtroppo (dico dell'amor tenero e sentimentale) ne sarò sempre schiavo."
Nobildonna pesarese, andata in sposa al conte Lazzari. Quando Giacomo Leopardi la incontra lei ha ventisei anni. Sarà ospite a Recanati, presso casa Leopardi, nel dicembre del 1817.
Gertrude, il primo amore di Giacomo Leopardi
Una canzone libera che segna il ritorno al Leopardi poeta, dopo il periodo dedicato solo alla riflessione filosofica.
Nella quiete pomeridiana di Recanati, un giovane siede al suo tavolino ingombro di libri antichi. La sua mano, fino a un attimo prima intenta a tracciare versi sul foglio, si ferma. Le orecchie tese, il respiro trattenuto.
È una voce che conosce bene a catturare la sua attenzione. Una voce cristallina che si libra nell'aria come un ricamo sonoro, scivolando tra i vicoli stretti della piazzetta per raggiungere la sua finestra. Lei è Teresa, seduta davanti al telaio nella casa di fronte, le dita agili che danzano tra i fili mentre canta, ignara dell'effetto che produce sul giovane poeta.
Quando la sua voce lo raggiunge, il mondo cambia per il ragazzo. La sua mente prende il volo, librandosi sopra dolci colline e scorci di mare azzurro, un paesaggio interiore dove la speranza e la bellezza ancora esistono, intatte. In quei momenti, il peso dell'esistenza sembra alleggerirsi, e il futuro appare come una promessa luminosa.
Ma il destino ha disegnato un percorso crudele. Anni dopo, lo stesso ricordo che una volta portava sollievo si trasforma in una lama affilata nel cuore del giovane studioso. Teresa, quel fiore troppo presto tagliato dalla tisi, non c'è più. E con lei sono svanite anche quelle speranze condivise, quei sogni che fiorivano nelle loro menti giovani mentre si affacciavano alla vita da finestre diverse ma con lo stesso orizzonte davanti.
Il ragazzo è Giacomo Leopardi. È questo dolore profondo che Giacomo distillerà in una delle sue opere più strazianti e pure: "A Silvia".
Una poesia dove il ricordo di quella voce, di quel canto interrotto, diventa metafora universale della caducità della bellezza e dell'inganno crudele delle speranze umane.
Leggiamoci il testo!
Silvia, rimembri ancora
Quel tempo della tua vita mortale,
Quando beltà splendea
Negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
E tu, lieta e pensosa, il limitare
Di gioventù salivi?
Sonavan le quiete
Stanze, e le vie dintorno,
Al tuo perpetuo canto,
Allor che all’opre femminili intenta
Sedevi, assai contenta
Di quel vago avvenir che in mente avevi.
Era il maggio odoroso: e tu solevi
Così menare il giorno.
Io gli studi leggiadri
Talor lasciando e le sudate carte,
Ove il tempo mio primo
E di me si spendea la miglior parte,
D’in su i veroni del paterno ostello
Porgea gli orecchi al suon della tua voce,
Ed alla man veloce
Che percorrea la faticosa tela.
Mirava il ciel sereno,
Le vie dorate e gli orti,
E quinci il mar da lungi, e quindi il monte.
Lingua mortal non dice
Quel ch’io sentiva in seno.
Che pensieri soavi,
Che speranze, che cori, o Silvia mia!
Quale allor ci apparia
La vita umana e il fato!
Quando sovviemmi di cotanta speme,
Un affetto mi preme
Acerbo e sconsolato,
E tornami a doler di mia sventura.
O natura, o natura,
Perchè non rendi poi
Quel che prometti allor? perchè di tanto
Inganni i figli tuoi?
Tu pria che l’erbe inaridisse il verno,
Da chiuso morbo combattuta e vinta,
Perivi, o tenerella. E non vedevi
Il fior degli anni tuoi;
Non ti molceva il core
La dolce lode or delle negre chiome,
Or degli sguardi innamorati e schivi;
Nè teco le compagne ai dì festivi
Ragionavan d’amore
Anche peria fra poco
La speranza mia dolce: agli anni miei
Anche negaro i fati
La giovanezza. Ahi come,
Come passata sei,
Cara compagna dell’età mia nova,
Mia lacrimata speme!
Questo è quel mondo? questi
I diletti, l’amor, l’opre, gli eventi
Onde cotanto ragionammo insieme?
Questa la sorte dell’umane genti?
All’apparir del vero
Tu, misera, cadesti: e con la mano
La fredda morte ed una tomba ignuda
Mostravi di lontano.
Dal testo al contesto
“Dopo due anni ho fatto dei versi quest'aprile; ma versi veramente all'antica e con quel mio cuore di una volta”.
Così scrive Giacomo Leopardi alla sorella Paolina qualche giorno dopo che ha composto la poesia A Silvia.
L’ha scritta a Pisa tra il il 19 e il 20 aprile 1828.
Perché le scrive che ha fatto dei versi?
Cosa c’è di insolito?
C’è che Leopardi torna poeta. Già, perché negli anni precedenti aveva dichiarato di voler passare dal bello al vero, cioè dallo scriver poesie alla riflessione filosofica. E, con rare eccezioni, si era dedicato solo a scritti in prosa.
Penso sempre con un brivido a cosa ci saremmo persi se avesse perseverato in questa decisione…
Con A Silvia invece riprende la creatività poetica e inizia una stagione ricca di testi poetici meravigliosi. Per nostra fortuna!
Ma chi è Silvia?
Nei ricordi d'infanzia e di adolescenza Leopardi rievoca: “[…] cenare allegramente del cocchiere intanto che la figlia stava male, storia di Teresa da me poco conosciuta e interesse che io ne prendeva come tutti i morti giovani in quello aspettar la morte per me. […]Canto mattutino di donna allo svegliarmi, canto delle figlie del cocchiere e in particolare di Teresa mentre ch’io leggeva.”
Come avrai capito si tratta di appunti. Però ci danno informazioni preziose sulla ragazza che si nasconde dietro il nome “Silvia”.
Si tratta di Teresa Fattorini, la figlia del cocchiere di casa Leopardi. È cosa nota, ma te la devo dire! L’usanza di cambiare il nome della donna per la quale si scrive una poesia è antica e consolidata. Ma A Silvia è una poesia d’amore? No… Leopardi rievoca questa ragazza perché è, ahimè, una morta giovane, come dice nei suoi appunti. Il 30 settembre 1818 Teresa/Silvia muore di tisi. Proviamo a fare un po’ di conti: abbiamo detto che la poesia è del 1828. Quindi dalla morte della ragazza sono passati ben dieci anni. Capisci ora perché ti dico che non è una poesia d’amore.
Perché allora la scrive?
Teresa lo riporta alla giovinezza trascorsa a Recanati. Qui, mentre lui studiava e si affaticava su quelle che nella poesia definisce le sudate carte, la ragazza adolescente sedeva davanti alla finestra e, come le sue coetanee di ceto popolare, si dedicava ai lavori femminili, soprattutto la tessitura. Leopardi, dalla casa di fronte, poteva vederla e sentirla cantare.
Ma la malattia porta via Teresa e con lei tutte le speranze di una vita che stava per sbocciare: le feste, i discorsi d’amore con le amiche, i complimenti per i bei capelli neri e per i begli occhi innamorati.
La tisi che uccide Teresa per Leopardi diventa una rappresentazione fisica della delusione che colpisce le speranze, non solo sue, ma di tutti i giovani. Le illusioni giovanili restano irrealizzate, per tutti; così, la morte prematura di una ragazza è anche la morte della speranza e la rivelazione del destino tragico di tutta l’umanità. Alla luce di questa rivelazione, non resta che osservare la morte, con la consapevolezza che ogni essere umano è destinato all’infelicità.
Quindi Leopardi passa dall’osservare il destino di Teresa, all’associarlo con la propria delusione, e infine a riferire questa delusione alla condizione umana in generale. Quindi è vero che è tornato il poeta, ma il filosofo non se ne è più andato.
Da questa poesia in avanti, sarà sempre più chiaro che Giacomo Leopardi nelle sue poesie unisce versi sublimi alla riflessione filosofica sulla vita.
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Chi è stato il primo amore di Giacomo Leopardi? Chi era Silvia? Dove è morto e dove è sepolto Leopardi? Era davvero pessimista? Le risposte a queste domande sono nel mio libro. Un percorso in dieci tappe alla fine del quale potrai dire di conoscere il genio di Recanati.
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